COUNSELLING E DISABILITA’
La figura del counsellor può intervenire anche nel caso della disabilità.Per disabilità si intende impossibilità a fare qualcosa che normalmente fa parte della quotidianità di ogni individuo.
La disabilità la si può sviluppare nel corso della vita, per esempio nel caso una persona, durante un incidente perde un braccio o un altro organo che gli condiziona alcune funzioni per poter avere una vita “normale”, come per esempio scrivere o lavorare.
La disabilità può essere neuropsichica come per esempio nei casi di deficit intellettivi dovuti a molteplici fattori e patologie. Ci possono essere ritardi mentali a basi ambientali. Per esempio essere cresciuti in un ambiente privo di stimoli e in questo caso possono essere recuperati.
A seconda del livello della gravità dall’origine si possono o meno recuperare tali deficit.
Ci possono essere danni genetici, all’atto della fecondazione come la sindrome di Down.
Ci sono disabilità sensoriali che si riferiscono agli organi di senso, come per esempio nel caso della cecità e sordità.
La funzione primaria dell’intervento del counsellor è quella di proporre un percorso di accettazione rispetto a tematiche gravi come la disabilità. Aiuterà il cliente o i clienti del sistema a rielaborare tutte le fasi del lutto. Lutto inteso come perdita, destabilizzazione di equilibri familiari attraverso l’esame delle emozioni e di tutto quello che ha procurato ansia, sofferenza o patologia.
Quali sono le cause che portano il cliente a cercare un aiuto, rispetto a quali vissuti.
Il senso di colpa e il sacrificio personale. Per esempio a volte, una mamma si crea un senso di colpa per aver generato un figlio disabile. Il suo costante sacrificio personale che a volte diventa un peso insopportabile.
L’ansia per il futuro. Spesso il genitore o i genitori si chiedono di cosa ne sarà del figlio disabile al loro decesso.
La non accettazione del limite. Il rifiuto del loro “destino”.
La stanchezza fisica, mentale, la depressione.
La paura costante che prende sempre più corpo nei pensieri, il non sapere se ce la si può sempre fare. Il pericolo che ne cosegue.
Il senso di fallimento personale quando non si vedono miglioramenti o si credi esserne stati la causa.
Il senso di solitudine che si crea attraverso pensieri disfunzionali, come generalizzazioni in merito al vissuto. “Quando una persona è sfortunata come me non c’è più nulla da fare”.
La vergogna sociale.
A questi vissuti si accompagnano emozioni dolorose, non più gestibili sia dal familiare che dal disabile.
Il counsellor aiuterà queste persone, attraverso l’ascolto, a prendere coscienza e ad approfondire il senso di tali emozioni negative, cercando di normalizzarle. Per esempio dicendo: “è normale che si senta cosi’”. Mostrare la funzione e l’utilità dell’emozione: “quella rabbia ti è risultata utile per mettere in atto alcune cose per sentirti meglio …” Ragionare sugli stati emotivi troppo intensi, vederne gli svantaggi o le conseguenze:”come ti senti quando quella emozione prende il sopravvento, pensi che possa portarti dei vantaggi?..” Gestire l’emozione, individuando nuove direzioni:” Ora proviamo a lasciare da parte quella rabbia intensa e analizziamo alcune circostanze…”
E’ chiaro che se le problematiche che emergono sono troppo radicate e profonde, il counsellor devi inviare il cliente ad altri specialisti. Perché le reazioni di fronte ad un cambiamento all’interno del sistema viene vissuto a livello soggettivo anche in base ai costrutti individuali.
Le emozioni più comuni sono: la rabbia, la vergogna, il senso di impotenza, la non accettazione, la colpa a Dio, il senso di colpa..
LA VERGOGNA. Riguarda salvaguardare una buona immagine di sé all’interno della società in cui si vive.
Per esempio un ragazzo che fa un incidente può avere molteplici reazioni psicologiche soprattutto se la sua vita si trasforma in una disabilità, come rimanere sulla sedia a rotelle. Può avere la reazione, per la vergogna , di non uscire più da casa.
Il problema diventa troppo incontenibile e quindi decide di farsi aiutare da un professionista counsellor.
Il counsellor potrebbe intervenire facendo domande: “ti andrebbe di approfondire l’emozione della vergogna?”..”cosa pensi di questa persona che quando ti guarda, ti fa sentire vergogna”..”la conosci, cosa rappresenta per te”.
A questo punto cercare di ampliare la veduta del contesto per non fossilizzarsi su un punto di vista che è stato generalizzato, rapportato a reazioni di tutte le persone. “ci saranno persone che ti eviteranno, altre che avranno il piacere di rivederti.”…”conosci altre presone nelle tue condizioni?”…”come hanno affrontato il problema”…”come ritieni queste persone in gamba o stupide?”
Ragionare sui comportamenti evitanti che riguardano la vergogna e quanto siano funzionali per poter reagire al proprio disagio.
SENSO DI COLPA. La direzione dove deve andare il counsellor è simile a quella della vergona.
Normalizzare l’evento, facendo capire che altre persone vivono la stessa esperienza e non per questo si sentono colpevoli, ma anzi prendere spunto da loro, per attivare un cambiamento di pensiero.
Riflettere sull’inutilità di aplificare e aumentare il senso di colpa; porta a dei vantaggi? Fa stare meglio?
Il senso di colpa lo può sviluppare sia chi ha la disabilità e chi accudisce colui che ne soffre. Alla base c’è un rifiuto della nuova situazione che si è creata all’interno del sistema e la difficoltà del nuovo modo di rapportarsi, il peso di una nuova riorganizzazione … della nuova gestione della quotidianità.
Quando si parla di Ridimensionare la responsabilità, ci si riferisce a fare un percorso per cambiare la nuova cornice motivando la persona che soffre a vedere la situazione attraverso nuove risorse. Cercando di trasformare il problema, per esempio, in una sfida. Il ragazzo di prima, che era finito su una sedia a rotelle, ridimensionando il suo problema, lo si potrebbe incentivare a fare gare sportiva insieme a disabili come lui che hanno vinto la prova dell’isolamento e della sconfitta.
Nel caso il senso di colpa sia vissuto da un parente che è il solo ad accudire il disabile, lo si potrà aiutare a ridistribuire con altre persone del sistema, se ci sono, l’accudimento del disabile. E se colui che accudisce è solo, indirizzarlo a strutture di sostegno e comunque allontanare il suo senso di colpa perché è del tutto naturale sentirsi esausti e stanchi a portare un peso tutto su una spalla, quindi normalizzare l’evento.
Aiutare a riflettere sull’inutilità di continuare a tormentarsi perché non porta a nessun miglioramento all’interno della sitazine. E’ anche importante, anche se più nascosto, sottolineare le conseguenze negative sulla persona disabile che sente che è aiutato non per amore, ma per senso di colpa.
RABBIA. L’emozione della rabbia è molto forte,m può esplodere esternamente ma anche involvere dentro di noi con dei sintomi fisici e destabilizzanti. E’ la risposta alla percezione di aver subito un grande torto e ingiusto. Può anche essere uno strumento di difesa per affrontare i problemi.
Il percorso con il counsellor aiuta a riconoscere questa emozione ed imparare a gestirla, a darle un significato positivo e negativo, quanta energia implica e quanta ne toglie, se è utile in quel dato momento di vita o distruttiva.
Verrà aiutato il o i clienti a riflettere sul torto subito, ridimensionandolo e attivando nuovi punti di vista. Portare i cliente a credere che la sua ingiustizia sul fatto che può essere inserita in una casualità statistica. Es. “ se suo figli ha attraversato la strada e non ha visto la macchina che passava, come lei mi ha detto, purtroppo è un fatto che può ed è successo a tante altre persone…” Pensare a quale altre cose ingiuste potevano capitare e non sono capitate. Es. “suo figli0, nonostante è sulla sedia a rotelle per quell’incidente, non si sono allontanati i suoi amici, e questa è una cosa bellissima..,non è da tutti” Esplorare insieme al cliente, i lati meno negativi o positivi della situazione...
Nel caso di disabilità le persone coinvolte possono venire a chiedere l’aiuto per non saper gestire un determinato comportamento del disabile. Per esempio nel caso in cui un disabile sbatta spesso la testa contro il muro. Il genitore a volte, reagisce inconsapevolmente ad un messaggio in un modo non funzionale alla risposta che invece il disabile si aspetta. Ci può essere una errata interpretazione al comportamento del disabile, allora il counsellor può accompagnare la riflessione che si sussegue analizzando il contesto.
Per esempio: “mi ha detto che suo figlio sbatte la testa contro il muro e crede che lo fa per farla arrabbiare..” “Ma che elementi ha per poter affermare questa sua osservazione..” A questo punto il counsellor dovrà aiutare i o il genitore a capire che ogni comportamento del figlio ha qualcosa da dire, da interpretare, da capire. Pere esempio, ricerca di attenzioni, evitamento di compiti o situazioni difficili, uno stato di disagio; tutto ciò evitando giudizi o ostilità nei confronti del disabile c h e nella sua sensibilità registra e osserva tutto.
A questo punto, dopo avere analizzato tutte le emozioni, i comportamenti, i sentimenti, le difficoltà, le sofferenze …. Ascoltato, ridimensionato,.. per aiutare il cliente o tutto il sistema di riferimento, bisogna attivare il Processo di Accettazione. Tale processo è un percorso lungo e difficile. Bisogna porre l’attenzione su dove si trova, a che stadio si trova la persona coinvolta, di non accettazione del problema. Un intervento troppo precoce può risultare dannoso e controproducente. E non è detto che al termine dei colloqui le persone o la persona coinvolta abbai una totale o reale accettazione dello stato di disabilità.
Uno dei rinforzi positivi sui quali si può lavorare, per esempio, è l’individuazione di scopi ancora raggiungibili, l’intervento per diminuire l’influenza delle emozioni troppo forti, rielaborandole dandole un nuovo senso. L’individuazione degli aspetti positivi che ci sono ancora dentro la situazione. Non dare per scontato che disabilità significhi disperazione. Personalmente ho conosciuto un disabile che non si era mai sentito così accudito e amato come in quella sua esperienza. Il suo sguardo era più sereno perché probabilmente, in quella situazione, si sentiva più amato e visto, come non lo era prima.
Una cosa importante all’interno del colloquio, è chiedere alla persona cosa intende per E’ insopportabile,..o E’ ingiusto, ecc. e vedere dove si può ridimensionare o razionalizzare tale stato d’animo. Far prendere coscienza di come le situazioni che si vivono possono essere influenzate da pregiudizi. Es: “Tute le persone sulla sedia a rotelle non possono più fare sport, o nulla”. Aiutare a discernere quali sono le situazioni che sono più funzionali accettare, perché diversamente logorerebbero senza fine e inutilmente. Individuare problemi che si possono risolvere, e non è così tutto irrisolvibile come sembra...
Evitare frasi fatte o prediche, ma ragionare sulla lettura che le persone coinvolte danno ad alcune loro affermazioni. Es. “Non posso fare nulla,..lo fa per farci arrabbiare,..non dipende da noi...”
Concludo affermando che alla base del nostro intervento è essenziale e utile individuare A CHE PUNTO E’ LO STADIO DI ELABORAZIONE RAGGIUNTO DALLA PERSONE.
SAPER ASCOLTARE CON ESTREMA DELICATEZZA ED EMPATIA
NON ESSERE MAESTRI DEL PROBLEN SOLVING, MA ACCOMPAGNATORI DI UN DOLORE CHE HA SCONVOLTO LA QUOTIDIANITA’ E LE CERTEZZE
TRASPETTERE AIUTO E INSEME TROVARE QUEL POSITIVO CHE SI PUO’ ANCORA TROVARE…
E CHE L’ESPERIENZA UMANA E’ COMUNE A TUTTI DI FRONTE A QUALSIASI CROCE IN CUI CI IMBATTIAMO. Ma questa è una mia riflessione. I dolore dell’altro non lo si può mai misurare perché solo la persona che lo vive sa quanto gli pesa. Il nostro giudizio o pre-giudizio ridurrebbe il dolore al nostro punto di vista intriso di emozioni personali che non fanno raggiungere l’altro.
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